GERDA TARO

 
 
 
 

GERDA TARO

© Luca Piccini

Ready-made and Mix Tech on Wood

 

A Gerda, che trascorse un anno in Spagna. E lì rimase per sempre. (Robert Capa)

 

 

PART: GERDA TARO
 

 

Malgrado la tua morte e le tue spoglie,                                 

l’oro antico dei tuoi capelli                                                      

il fresco fiore del tuo sorriso al vento                                    

e la grazia quando saltavi,                                                      

ridendo delle pallottole,                                                          

per fissare scene di battaglie,                                                

 
tutto questo, Gerda, ci rincuora ancora.

 

Luis Pérez Infante

 

A Gerda Taro, morta sul fronte di Brunete.

 

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Gerda Taro, la fotografia al servizio di un ideale

di Giorgio Pica

 

“Il nome di Gerda Taro probabilmente non dirà nulla ai non “addetti ai lavori” in fotografia, ma è probabilmente sconosciuto anche ai più dei fotografi. Eppure il suo funerale, che si tenne a Parigi il 1 agosto 1937, fu partecipato da più di 200000 persone con omaggi provenienti dalle più grandi personalità intellettuali del tempo, da Ernest Hemingway a Pablo Neruda che ne lesse l’elogio funebre, la sua tomba inoltre fu l’unica in Francia a guadagnarsi l’odio e la censura dei nazisti durante l’occupazione, mentre il suo ricordo sarà poi tenuto vivo nella Repubblica Democratica Tedesca dove Gerda verrà sempre ricordata come grande esempio di militanza comunista. Solo negli ultimi anni la figura di questa grande donna dello scorso secolo sta riemergendo dalla penombra soprattutto grazie a romanzi e a biografie che però sembrano limitarsi a inquadrarla o come la prima fotoreporter a morire sul campo o peggio ancora come l’amante e artefice del successo di Robert Capa, all’anagrafe Endre Ernő Friedmann, tra i più famosi fotoreporter di guerra dello scorso secolo che seguirà tragicamente la sorte della sua compagna morendo su una mina nel 1954 mentre lavorava come inviato durante la prima guerra d’Indocina. Una narrazione insomma fortemente nociva, non realistica e incapace di inquadrare il personaggio di Gerda nella sua ricchezza e complessità.

 

 

PART: MILIZIANA DELLE BRIGATE INTERNAZIONALI | FOTO: GERDA TARO

 

 

Gerda Pohorylle, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Gerda Taro, nacque a Stoccarda il 1 agosto 1910 da una famiglia piccolo borghese di origine ebraica e di nazionalità polacca da poco trasferitasi dalla Galizia passata, dopo la Prima Guerra Mondiale, alla Polonia. Fin da giovane si avvicina al Partito Comunista Tedesco (KPD) in cui milita attivamente anche dopo la presa del potere di Hitler tanto che nel marzo 1933 viene arrestata per aver distribuito volantini e attaccato manifesti antinazisti. Dopo alcuni interrogatori e alcuni giorni in carcere sarà liberata grazie alla sua cittadinanza polacca. Temendo per la sua vita anche in quanto ebrea fugge in Francia separandosi dalla sua famiglia che non vedrà più. Ha appena 23 anni. Qui si arrangia inizialmente come segretaria ma a cambiare la sua vita è l’incarico come assistente per l’agenzia fotografica Alliance nel 1934. Lo stesso anno incontra Endre Friedmann, comunista ungherese anch’esso rifugiato in Francia, con cui inizia una relazione e insieme inventano gli pseudonimi Gerda Taro per lei e Robert Capa per lui, che useranno per firmare le proprie fotografie al fine renderle appetibili al nascente mercato di riviste fotografiche molto attratto da nomi statunitensi, stratagemma che risulterà efficace per il successo dei loro lavori. Nessuno dei due interrompe l’attività politica ed entrambi sono molto vicini ai circoli del Partito Comunista Francese sostenendo con entusiasmo la vittoria del Fronte Popolare in Francia nel maggio del 1936. Nel luglio dello stesso anno scoppia la guerra civile in Spagna e insieme produrranno numerosi reportage fotografici per raccontare il punto di vista del fronte repubblicano e della popolazione civile come inviati per la rivista “Vu”, producendo foto anche per altre testate come “Regards” o la più famosa “Life”, mentre negli ultimi mesi della sua vita, nel 1937, Gerda si dedicherà a un lavoro indipendente come inviata per la rivista “Ce Soir” del Partito Comunista Francese. La scelta di raccontare la guerra civile spagnola non fu una scelta casuale né dettata meramente da un’opportunità lavorativa, ma fu il frutto da un richiamo ideale che i repubblicani spagnoli ebbero nei confronti degli antifascisti di tutto il mondo e che vide come sua più limpida manifestazione la costituzione delle Brigate Internazionali nell’ottobre del 1936 per decisione del Comintern. Sarà nell’anno che va dal luglio ‘36 al luglio ‘37, quando morirà, che Gerda consegnerà alla storia preziose opere fotografiche, ma soprattutto sarà qui e in quelle foto che esprimerà a pieno la sua concezione della fotografia e della sua attività in generale: una fotografia al servizio di un ideale, quello che sin dai tempi dell’arresto nella Germania nazista la accompagna, ora incarnato dai combattenti repubblicani in Spagna che infatti sono, insieme alla popolazione civile vittima della violenza fascista, i principali soggetti del suo lavoro. Le sue opere sono segnate da uno stile ben riconoscibile: nei ritratti tende sempre ad esaltare la figura dei e delle combattenti con angolature prese dal basso e volte a isolare i soggetti nella loro unicità, nel racconto delle battaglie vediamo invece il suo porsi come testimone diretta, senza filtri, cercando di rappresentare la scena nella sua completezza per veicolare allo spettatore il suo punto di vista nella realtà.

Non una fotografia fine a sé stessa quindi o un mero mestiere, ma fotografia come militanza politica, al servizio di una causa e come testimonianza di volti, persone e vite che altrimenti sarebbero rimaste senza memoria e che come lei, anche se in altro modo, avevano deciso di mettersi in prima linea nella lotta contro il fascismo e per una società più giusta.

 

 

PART.
 

 

Una concezione che a noi, che viviamo in una fase di grande arretramento del livello di coscienza e nella quale la logica del mercato e del profitto tendono a sopprimere determinati esercizi di libertà e creatività artistica, sembra molto lontana ma che è in realtà più attuale che mai.  Essere “partigiani” nel senso in cui Gramsci lo intendeva e come lo è stata Gerda, anche nelle nostre attività quotidiane mettendo le nostre capacità al servizio della lotta per la trasformazione della società, è infatti ancora oggi una necessità che può e deve tradursi anche in una produzione artistica che sia effettivamente “martello per scolpire il mondo”. Necessità di stringente attualità per noi giovani che abbiamo di fronte un futuro di sfruttamento e precarietà, un futuro quindi tutto da riconquistare come lo era in quegli anni.

 

 

PART.

 

L’esempio di Gerda sta in ciò e anche oggi deve essere d’ispirazione per chi, attratto dall’arte della fotografia sente però anche su di sé l’oppressione di un sistema che ne limita le possibilità creative e la realizzazione delle proprie aspirazioni.

La sua è una fotografia che, in quanto militante, libera sé stessa scardinando quel sistema che la soffoca: è questa la sua innovazione ed è in ciò sta il suo lascito ai giovani fotografi. È infatti questo suo impegno politico più che professionale, questo slancio ideale, che lascia il segno nelle foto di Gerda, che la spinge a continuare a fotografare anche nei momenti più difficili e sotto il fuoco nemico, a gridare, come testimoniato da molti, “all’attacco” ai compagni e alle compagne sul fronte. Ed è proprio al termine del suo reportage più importante, quello sulla Battaglia di Brunete del luglio ‘37, battaglia dalle sorti incerte fino all’ultimo, che Gerda trovò una morte tragica. Al ritorno dal fronte di Brunete viaggiava su un camion per il trasporto dei feriti quando aerei tedeschi mitragliarono il convoglio repubblicano facendo sbandare un carro armato che travolse il camion e schiacciò con i cingoli Gerda dallo stomaco in giù. Non morì all’istante e non perse neanche conoscenza ma nonostante il trasporto all’ospedale “El Geloso” di Madrid non c’era alcuna possibilità di salvezza nonostante i molti tentativi che si fecero. Lei rimase lucida fino alla fine preoccupandosi anzi dell’incolumità delle sue macchine fotografiche e del suo lavoro. Dopo un’agonia durata ore morì all’alba del 26 luglio 1937 all’età di appena 26 anni. I funerali maestosi organizzati dal Partito Comunista Francese si tennero il giorno del suo 27esimo compleanno, il 1 agosto 1937, e video una partecipazione di massa oltre che di personalità di primo piano a livello intellettuale come ricordato all’inizio… “


 
 

 
 
 
 
 
 
 

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